Non ho mai realmente pensato di dovermi trovare a fare una scelta che ha un peso simile ad un macigno, tuttavia tra le mani avevo un solo biglietto e per di più di sola andata, verso Praga. Terra decisamente sconosciuta, cosa assai rara visto il bagaglio di esperienza sulle mie spalle, almeno per quanto riguarda le famiglie.
Ma partiamo dal principio, che principio non è visto che ciò che ricordo parte direttamente in una fascia di età che probabilmente comprendeva la decina di anni, all’epoca, e ciò che mi è rimasto impresso è la mano rugosa di una donna di mezza età, vestita con un tailleur color lilla. Dio quanto era odioso quel colore e maggiormente lo era quello delle sue unghie, laccate di un rosso amaranto che richiamava più dei lecca-lecca che una manicure. Lei era con me quando i miei parenti mi diedero in affido dopo la partenza di mio padre e mia madre, ad assicurarsi che non fuggissi mentre le unghie mi entravano nella pelle e i singhiozzi erano l’unica cosa che potevo realmente fare in quel momento. Mi ricordo il buffo cappello di mia zia, con piume di pavone svolazzanti, e il sigaro di mio zio, che continuava a far fumo, quasi nervosamente.
Non che mi fossero mai piaciuti, ma erano gli unici parenti in Spagna che erano abbastanza vicini ai miei genitori e con la loro scomparsa - perché di questo si tratta - sono stati gli unici a prenderci in affido.
Prenderci, si, io e mio fratello.
Di lui si sono liberati decisamente in fretta, con me hanno dovuto aspettare qualche anno e qualche assegno di mantenimento di troppo, ma alla fine anche per me era arrivato il momento di cercarmi un altro posto. La signora lilla, perché non c’era altro modo per chiamarla, si è occupata dei miei trasferimenti fino all’età di sedici anni, quindi per ben sei anni è stata lei a trasportarmi da un posto all’altro nella speranza di trovare una famiglia adatta.
Forastica, penso sia il termine che mi diede uno dei miei padri adottivi, senza badare o meno se potesse risultare antiquato quanto antipatico, ma pensandoci ora forse non aveva così torto: ero solita azzuffarmi, far rissa e cercare di sorpassare anche chi mi era decisamente superiore di stazza e altezza. Il mio tentativo era sia fisico quanto verbale, o meglio, intellettuale. Volevo spiccare e per farlo dovevo essere in grado di vivere alla giornata e diventare consapevole che, bene o male, avrei dovuto vincere ogni battaglia che mi si proiettava davanti e quindi essere sul serio quel gatto forastico che mi avevano affibbiato. Le bande non erano proprio per me, ma per un periodo ne feci parte, almeno di alcune e finché non decisero di spedirmi altrove.
Non credo di aver mai reso la vita difficile a qualcuno, ma sicuramente ero fastidiosa o non potrei spiegarvi come mai ho dovuto abbandonare tre famiglie nell’arco di quei sei anni, tant’è che alla fine la signora Lilla ha scelto un Orfanotrofio per i miei ultimi anni da prigioniera. La Svezia era una nazione di regime e rigore, mi diceva, quindi avrei imparato il significato di “bambino complicato”.
Lì ne era pieno, di bambini complicati così come le regole erano decisamente severe. Sono stati i due anni più lunghi della mia vita e quando ho raggiunto i diciassette anni hanno preferito spedirmi a lavorare, per portare quei pochi spicci nelle tasche del Rettore dell’istituto. Un tempo decisamente lungo che tuttavia mi ha dato modo di prendere quella parte della paga che nascondevo mese per mese, per sfruttarla dopo due anni ed andarmene da lì, una mattina mentre andavo a quel lavoro che mi avevano affibbiato.
Per quanto fossi estremamente stanca di girovagare e cercare uno scopo alla mia vita, i miei piedi mi riportarono in Spagna, a casa dei miei zii, ma ciò che trovai fu una porta chiusa e una valigetta di pelle, quelle da ufficio, con solo l’indicazione che era l’unico oggetti ritrovato dei miei genitori.
Mi presi qualche ora per decidere di aprirla e quando lo feci, ciò che vidi, erano ritagli di giornali, lettere per corrispondenza con una persona a Praga e piccoli appunti che francamente non avevano un gran senso pratico, leggendoli.
La cosa certa era il fatto che per capire chi fosse la persona con cui parlavano a Praga o che hanno incontrato, sarei stata costretta a comprare un biglietto con gli ultimi soldi rimasti e vedere con i miei occhi quella città. Non avevo indizi, solo una sigla come firma che per lo più assomigliava ad una A.
I mesi, perché tali erano, che ho passato a Praga mi hanno fatto conoscere nuove strade, nuovi posti ma poca gente che potesse aiutarmi, ho continuato a vagare per quanto mi fosse essenziale farlo e iniziare a conoscere così ogni parte di quella città, fino a farla mia, ed ho iniziato a valutare lavori e passatempi che potessero aiutarmi, nell’attesa di trovare ciò che cercavo.