Il padre di Jem era il romantico, la madre quella più pratica, ma la musica era riuscita a colpirla nonostante tutto. Aveva insistito perché Jem perché lo imparasse - “Io lo suonai per mia moglie, e un giorno, tu lo suonerai per la tua.”
Ma non avrò mai una moglie. Non lo pensava con auto commiserazione. Jem era come sua madre: pratico sulla maggior parte delle cose, anche sulla propria morte. Era in grado di mantenere il fatto a distanza e di esaminarlo. Jem pensava che ognuno dei ragazzi dell’Istituto fosse peculiare: Jessamine con la sua asprezza e la sua casa delle bambole, Will con le sue bugie ed i suoi segreti, e Jem - il fatto che stesse morendo era solo un’altra sorta di peculiarità.
Si fermò per un momento, ansimando in cerca di aria. Stava suonando accanto alla finestra, dov’era più fresco: l’aveva aperta lasciandola socchiusa e l’aspra aria di Londra sfiorava le sue guance ed i suoi capelli come delle dita, come l’arco immobile nella sua mano. Stava in piedi in un raggio di luna, argenteo come la polvere di yin fen.
Chiuse gli occhi e si lanciò, di nuovo, nella musica, l’arco che scorreva sulle corde come un grido. A volte il desiderio per la droga era quasi dominante, più forte del desiderio per il cibo, per l’acqua o l’aria, per l’amore…
Lo suonai per mia moglie, e un giorno, tu lo suonerai per la tua. Jem si aggrappava a quel pensiero con risolutezza
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