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PROFILO INATTIVO (dal 2023-06-23)
Grado Junior

GDR: La Perook - La famiglia Cooper (gestione PerookStoryOfCooper)

Categoria: Vampiri

Prestavolto: bess Edward (inserito da me)


Ci sono persone che sostentono che invecchiando si migliora. Come un buon vino, un buon whyskey.
Non sono mai stato un grande bevitore, nonostante abbia lontane origini irlandesi, ma ad ogni modo non sono del tutto convinto che si migliora.
Forse è il contesto. I luoghi. Le persone. Ogni cosa ti contamina, ti segna irreversibilmente e non è detto che lo faccia in positivo.
Francamente, pensandoci adesso dopo circa 115 anni, ancora non ho la certezza di quanto la mia anima o ciò che ne resta, sia ancora da segnare.
Succedono un sacco di cose in due secoli. Soprattutto quando la tua vita terrena termina a poco meno di venticinque anni in uno squallido vicolo.
Sei convinto di un sacco di cose. Scontte. Banali. Tipo rivedere la luce del sole, fermarti all’angolo della strada per mangiare qualcosa.
Poi nell’arco di una sera tutto diventa un’eccezione. Un privilegio. Per altri aspetti una condanna. Condanna a cui non hai alternativa, perchè il tuo istinto ferale di sopravvivenza non ti permette di
guardare l’alba per l’ultima volta per poi lasciare che le tue ceneri vengano spazzate via dalla brezza mattutina dell’oceano.
Come sono diventato vampiro ? Non l’ho chiesto. L’ho subito. Ho passato anni a non accettarlo, a trovare una via di uscita. Poi l’umanità e tutto quel pacchetto di emozioni che ti danno in dotazione alla
nascita, se ne va. Il senso di vuoto, di solitudine si fa più sopportabile. Uccidere è un atto dovuto, bere sangue dalla gola di un uomo è equivalente all’ordinare un caffè al tavolo.
Il sangue è l’unica cosa che ti fa sentire ancora vivo in un certo qual senso. Potrei spiegarti cosa si prova, ma sarebbe come chiedere ad un bambino di descrivere le nuvole. Tutto molto impreciso e limitato.
Posso solo dirti che se stai facendo sesso con due modelle ungheresi, l’orgasmo che proverai è una stilla in confronto al sapore e al calore del sangue che ti scivola tra le labbra.
Ed è stato cosi con lei. Bellissima, anche troppo. Una bellezza che stona per quanto irreale, lineamenti che travisano la concezione di ciò che sia sogno o ciò che sia vita vera.
L’ho conosciuta in una biblioteca, a tarda sera. Impossibile non notarla. Disarmante, per quanto potesse avere un look sobrio. E quegli occhiali, calati appena sul naso emanavano in maniera surreale un sesso pazzesco.
Lo sguardo nocciola, avrebbe sciolto chiunque. Anche chi come me veniva da una profonda delusione sentimentale.
Non cercavo niente in quel periodo. Avevo ripreso gli studi in legge e la pace serale della biblioteca leniva in parte il dolore, in parte lasciava spazio alla possibilità di concentrarsi nella lettura. Un silenzio che in fondo non faceva male. Iniziai a spiarla, a guardarla di nascosto, fingendo di tenere una pagina sollevata per leggere meglio. Forse, pensandoci adesso, era lei che mi spiava mentre io la spiavo. Lei già sapeva. Lei già leggeva le vibrazioni o qualunque cosa emanasse il mio corpo in sua direzione.
Forse proprio per questo venne a parlarmi. La prima volta restammo poco piu di dieci minuti, poi lei se ne andò. Fu come parlare una notte intera per me e questo lei lo percepì. Allora non sapevo, ma essendo sadica, lo fece sicuramente apposta. Yezabel era una giocatrice. Non di carte, non di bowling, ne di freccette. Giocava con le emozioni, con l’anima. Non ho mai saputo quanti secoli avesse, ma forse per lei quello era l’unico modo per ingannare il suo stato. Colmare il vuoto dell’eternità.
Tornai una settimana dopo in biblioteca, lei ancora stava li al solito posto. Quella volta aveva i capelli raccolti in uno chignon stretto. Un profumo fresco, di fiori di arancio veniva dal suo tavolo. Ricordo che invidiai quella pagina di libro che restava sospesa sotto il tocco delle sue dita sottili.
Fui io ad avvicinarmi quella volta, ma lei già sapeva che sarebbe stato inevitabile. Mi parlò di lei, della sua famiglia. Del suo piccolo sogno di diventare medico pediatra. Io l’ascoltavo e sentivo solo che il cuore andava a ritmo con la sua voce. E razionalmente ebbi un moto di paura. Sentivo che stavo per ricadere in qualcosa che non avrei piu permesso. Ma non potevo fare altrimenti che restare li. Rispondevo di tanto in tanto, ma era un monologo e io non avevo interesse a farla smettere.
La sua voce risuonava dentro me anche nella sua assenza. Di sfuggita spesso mi sembrava di vedere il suo sguardo ai lati dello specchio del bagno.
Ormai studiare era un pretesto per vederla e lei non si faceva pregare. Era sempre li, ad accogliermi. Mi perdevo guardandola, incapace di vedere il mostro che si nascondeva dietro quei denti bianchi e regolari e quelle mani sottili e curate.
Avrei dovuto sospettare ad ogni invito declinato ? Forse. Ma se potevo vederla li, mi bastava. Un pranzo,o una passeggiata nel parco, mi sembravano futili. Tutto era in secondo piano e ogni suo pacato no, per
me non costituiva dubbio o minaccia o segno di pericolo.
Una persona sana di mente avrebbe presagito il peggio ? non so. Sta di fatto che iniziai a provare sentimenti forti. prepotenti. Anche altri si erano accorti di lei, alcuni si erano permessi di avvicinarla. Di toccarla.
Dentro me sentivo qualcosa di molto simile al possesso e lontano dalla gelosia tradizionale. Non ne ero spaventato. Ero solo accecato da sensazioni ed emozioni che non avevo sperimentato in maniera cosi forte e piena.Lei non ne era turbata, anzi iniziò quasi velatamente a instillare questi miei atteggiamenti. Sorrideva a sconosciuti. Chiedeva informazioni ad altri uomini. Una sera addirittura finse di non conoscermi mentre dialogava con un uomo di mezza età. Un professore forse. Non saprei.
Poi con una scusa, un sorriso, una piccola carezza... sembrava che tutto fosse cosi piccolo, trascurabile. Futile. Per un mese mi offrii di accompagnarla a casa, ma lei negava sempre. Sempre gentile. Sempre pacata. Sempre cosi docile e ingenua. Ed io troppo fragile, troppo educato, troppo rispettoso per non insistere. Finchè fu lei con un bacio a fior di labbra, inaspetato a darmi il permesso di portarla a casa. Di poter passeggiare con lei. Non facemmo molta strada, iniziai a chiedermi troppo tardi se qualcosa non fosse al posto giusto.
Lei sorrideva, mi parlava di voler prendere un gattino. E di tanto in tanto mi chiedeva se mi piacevano i suoi occhi. E io rispondevo sempre e solo si. Finchè, mi prese e con fare insolito e ardito mi portò contro il muro.
Un leggero dolore mentre le spalle sbatterono contro di esso. Ma fissavo solo i suoi occhi e le sue labbra. La desideravo da sempre, forse ancor prima di sapere della sua esistenza. Si strinse a me, e cominciai a sentire dolore.
Mi stava stringendo forte, troppo forte per la sua corporatura minuta. Sentii il respiro che iniziava a essere ostacolato. Poi prima ancora che potessi fare altro mi morse. Dapprima di sfuggita un labbro, poi affondò i canini direttamente nel collo. Sentìì il calore venire meno, le forze svanire e l’oblio di un piacere senza senso ne forma, farsi largo, lasciando che ogni altro suono sparissse. Provai a dire qualcosa forse, ma restavo appoggiato a lei come un burattino. In fondo non ero altro che quello.
Crollai a terra e lei mi sussurrava "ami ?" lo chiedeva di continuo. "Ami ?" sembrava una litania.
Le risposi che l’amavo. La sua risata cristallina fu l’ultima cosa che la mia coscienza mortale ebbe modo di elaborare. Calò il buio definitivamente e anche il mio ultimo respiro.

[TO BE CONTINUED]


 

 

 

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